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2011-10-08  | [Ce texte devrait être lu en italiano]    | 




Non sono,
instabile sulla punta
del dito indice,
mediamente sfatto,
sfrattato
mi rimetto
alla clemenza degli dei :
Giove dio padre
e voi tutti dei della foresta
della selva alla quale appartengo,
silvestre
e verde
come la foglia imberbe
frastagliata, umida,
bevuta d’un fiato
la corrente d’acqua gelida
appena uscita dalla roccia,
alla sorgente del suono
percepii
il tuo urlo
strozzato
dal raggio di sole appena sorto.
Eccomi,
vengo
a perlustrare le tue vie
insaziabile
m’inebrio d’erba bagnata,
e cammino sul solco
il sentiero
dei miei padri
la mia verde patria
il mio essere tuttointero,
si poggia sul dito
e calco
il solco solcato dalla punta delle dita
dei secoli trascorsi.
Millenni di nulla
la terra assuefatta alle battaglie,
svilita dal gas di scarico,
si genuflette e prega.
Mi tramuto in verme
e striscio le gambe
piegate.
Mi tramuto in filo d’erba
e assaporo l’odore del vento
e il velo della brina mattutina.
Mi tramuto in ago di pino
a sfioro il nulla del cielo
e sento la nuvola
circondare
il mio tronco
e mentre la linfa
m’inebria di forza
sento il cadere del tempo,
il ritmare ossessivo del vuoto
che s’impossessa di tutto il mio tronco.
Rinasco,
inspirato
dalla musica divina
espirato dal frastuono del silenzio mondano,
rinasco
appesantito
del corpo mi sostengo
sulle dita della mano destra
e lascio la sostanza
percependo l’essenza.
Padre nostro che sei nei cieli
dona a noi il pane supersostanziale,
concedi alla pupilla la visione del tuo volto
ch’io sia verme
filo d’erba o ago di pino

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